Alessandra Fioretti psicologa, psicoterapeuta, psicologa dello sport e mental trainer, esercita la sua professione a Roma. La dottoressa vanta un’esperienza pluridecennale nel settore e annovera tra i suoi clienti anche noti personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport.
Quali sono i principali disagi psicologici che al giorno d’oggi le persone si trovano ad affrontare?
“Molti adolescenti hanno problemi nel rapporto con il proprio corpo. Oggi sono piuttosto diffusi i casi di disturbi alimentari quali l’anoressia e la bulimia.
Sono sempre più frequenti anche i casi di persone affette da attacchi di panico.
Spesso, poi, i problemi si manifestano nell’ambito delle relazioni affettive”.
Che tipo di problematiche possono nascere all’interno dei rapporti di coppia?
“Molte crisi di coppia hanno origine da modalità di comunicazione disfunzionali.
In altri casi, invece, si è in presenza di vere e proprie relazioni “tossiche” che creano un malessere cronico e indeboliscono l’autostima”.
Cosa intende per “comunicazione disfunzionale”?
“Tra le persone troppo spesso c’è poco dialogo e si comunica per lo più in modo superficiale. Una buona parte di responsabilità ricade sicuramente sui social network”.
Come mai parla di responsabilità dei social network?
“Nascondersi dietro la tastiera consente di evitare un contatto profondo con l’altro che potrebbe generare sofferenza.
A volte si arriva persino a interrompere una relazione via Whatsapp. In realtà, un chiarimento diretto sulle ragioni della rottura di un rapporto costituirebbe una preziosa occasione di crescita per entrambi”.
Cosa mi dice invece a proposito delle relazioni tossiche?
“Tra due partner si può creare un incastro che fa sì che entrambi cerchino di superare le proprie insicurezze tramite l’altro. In questi casi si crea una forma di dipendenza reciproca che, invece di alleviare la sofferenza che proviene dall’insicurezza, la acuisce”.
Ci spieghi meglio cosa intende quando dice che questo genere di relazioni generano sofferenza.
“I rapporti di questo tipo hanno un pesante impatto sull’autostima di entrambi i soggetti. In particolare, il partner più accondiscendente e remissivo, finisce per subire da parte dell’altro ogni genere di mancanza di rispetto, pur di non perderlo. Nei casi più gravi, le relazioni di dipendenza possono degenerare in forme di violenza psicologica o addirittura fisica”.
Come ci si accorge di avere questo tipo di problematiche?
“Spesso i miei pazienti mi raccontano di avere una relazione ma di sentire un costante senso di insoddisfazione e di vuoto. In altre situazioni siamo in presenza di vera e propria sofferenza che si sperimenta in presenza del partner.
Grazie al lavoro svolto insieme, prendono gradualmente coscienza del fatto che stanno trascinando una relazione superficiale, spenta o in certi casi persino “tossica”.
Come si possono affrontare i disturbi psicologici di cui ci ha parlato?
“Molte persone, quando percepiscono una sofferenza di cui magari non comprendono neppure l’origine, cercano la soluzione fuori di sé. Nel tentativo di fuggire dal problema, si riempiono le giornate con altri impegni quali corsi, palestra, uscite con gli amici, altre frequentazioni ecc. Purtroppo fare questo non porta a nulla di positivo. Nei casi peggiori, si può finire intrappolati in dipendenze da alcol, sostanze, gioco d’azzardo e così via”.
Come mai questo tipo di strategie sono dannose?
“Riempirci la vita con attività che non ci facciano percepire il disagio che viviamo purtroppo è solo un “anestetico”. Ha come risultato quello di alienarci ancora di più e impedirci un contatto autentico con noi stessi e con l’altro. In altre parole, in questa nebbia della coscienza sentiamo meno dolore ma, allo stesso tempo, anche meno gioia”. Occorre diventare consapevoli del fatto che il problema non è fuori ma dentro di noi”.
Può spiegarsi meglio?
“È solo dentro noi stessi che possiamo trovare le risorse per affrontare e superare la sofferenza. Non serve a niente scappare dal problema perché così ci si allontana anche dalla soluzione”.
E cosa mi dice delle persone che si avvalgono di soluzioni “fai da te” quali manuali di auto-aiuto, video o altri supporti simili?
“Vorrei risponderle con una metafora: in terapia è come se indossassimo la maschera da sub e cominciassimo a esplorare, guidati dal terapeuta, la nostra parte più profonda. Se ci avventurassimo in un’immersione subacquea senza le conoscenze necessarie e senza la giusta guida rischieremmo di perderci e di metterci in pericolo”.
Quindi, se non ho capito male, le soluzioni fai da te rischiano di essere inutili.
“Esatto. Nel migliore dei casi, le soluzioni fai da te ci fanno girare intorno a un problema senza riuscire ad affrontarlo veramente. In realtà non basta conoscere un problema per riuscire a superarlo”.
Perché la conoscenza non basta?
“La conoscenza può essere un valido aiuto ma di per sé non è risolutiva. Non basta conoscere come funziona la nostra mente oppure realizzare di avere una determinata problematica per superarla. Avere tante informazioni può darci un’illusione di controllo che in realtà è controproducente. Le nozioni che acquisiamo possono agire a livello della mente consapevole, ma non vanno a scalfire i meccanismi del nostro inconscio che ci causano malessere”.
Come agisce invece la psicoterapia su queste problematiche?
“Attraverso la terapia si arriva a fare un’esperienza curativa di se stessi. La conoscenza ci porta fuori di noi, mentre è solo l’esperienza che ci conduce dentro noi stessi.
Tornando alla metafora del sub, è solo una volta esplorati i fondali insieme a una guida esperta che possiamo tornare a riva con nuove risorse per affrontare la vita che neppure sapevamo di avere”.
Come scegliere il terapeuta giusto?
“Personalmente sono un po’ scettica rispetto ai pacchetti precostituiti che promettono di risolvere un problema in un numero predeterminato di sedute”.
Ci spieghi meglio.
“Ogni persona è unica e funziona a modo suo. È vero che esistono delle tecniche specifiche per trattare una medesima problematica, tuttavia per un terapeuta è fondamentale conoscere la persona che ha di fronte e adattare il suo metodo all’unicità di ogni paziente. Ognuno ha i suoi tempi e modalità. Alcune persone riescono a sciogliere blocchi emotivi con grande rapidità mentre altre necessitano di essere per così dire “prese per mano” e accompagnate nel percorso verso la risoluzione del loro problema”.
Che consigli darebbe a una persona che vuole scegliere uno psicoterapeuta?
“Per prima cosa suggerirei di fare qualche ricerca in rete sul professionista per farsi un’idea del modo in cui lavora attraverso le sue pubblicazioni, il suo sito web ecc.
È fondamentale poi fare con il terapeuta un primo colloquio conoscitivo. La scelta del professionista a mio avviso dovrebbe basarsi sull’empatia e il feeling che fin dai primi incontri viene a crearsi o meno tra i due protagonisti della relazione terapeutica. Allo psicoterapeuta si rivelano aspetti delicati di se stessi, dunque è fondamentale che si instauri un rapporto di fiducia per così dire “a intuito”.
Se non ho capito male, è meglio farsi guidare dalle proprie sensazioni sul terapeuta. Corretto?
“Si, esattamente. È meglio affidarsi al proprio intuito invece di lasciarsi abbagliare da strategie di marketing che promettono ricette standard e veloci per la soluzione di problemi complessi”.
Cosa mi dice a proposito dello stereotipo dello “strizzacervelli” a cui ci si rivolge solo se si ha un disturbo grave?
“Credo che lo psicoterapeuta possa essere un valido aiuto non solo nel caso in cui si sia alle prese con una specifica problematica, ma anche quando si stia affrontando una situazione positiva ed importante come ad esempio un cambiamento lavorativo oppure una relazione affettiva. Conoscersi di più in questi casi è una grande risorsa per capire quali sono i punti di forza sui quali possiamo contare per vivere al meglio un momento significativo della nostra vita. Solo se ci conosciamo davvero siamo liberi interiormente”.
Cosa pensa invece a proposito della durata della terapia?
“Non sono una sostenitrice delle terapie “a tempo indeterminato”. Credo che la terapia debba non solo supportare l’individuo nel superamento delle sue difficoltà ma altresì fornirgli degli strumenti per acquisire maggior potere sulla propria vita per poi “camminare sulle proprie gambe”. È normale che il paziente in qualche modo si “appoggi” al terapeuta. Tale rapporto tuttavia non deve mai risolversi in una forma di dipendenza”.
Quali sono i valori e i principi che la guidano nella relazione con i suoi pazienti?
“Considero molto importante la trasparenza nei confronti del paziente e la sua partecipazione attiva nella scelta della tipologia di percorso terapeutico. Fin dalle prime sedute cerco di individuare insieme al paziente gli obiettivi che desidera raggiungere e di fissare un tempo entro cui realizzarli.
Ci tengo a precisare che per me la libertà dei miei pazienti è fondamentale. Parlo della libertà di lavorare sugli aspetti che stanno loro a cuore nonché la libertà di decidere fin dove spingersi nell’esplorare se stessi. Mi piace sottolineare ai miei pazienti che ogni nostra seduta è un appuntamento con loro stessi più che con me”.
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